Un certo Mr. Peter Green fu l’inizio dei Fleetwood Mac… di Fabio Treves

Un certo Mr. Peter Green fu l’inizio dei Fleetwood Mac… di Fabio Treves
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Quando si parla di blues degli anni Sessanta si citano quasi sempre John Mayall, Alexis Korner, Long John Baldry e Cyril Davis, ma ci sono musicisti che al pari dei suddetti “santoni” hanno lavorato, e parecchio, per far conoscere ed apprezzare la “musica del diavolo”. Uno di questi è Peter Green (all’anagrafe Greenbaum), chitarrista, armonicista, e cantante londinese, da sempre attratto dal blues che, nel 1967 dopo aver suonato nella apprezzata e prestigiosa band di Mayall, decise di fondare una sua band: i FLEETWOOD MAC( dal nome dell’altro membro fondatore, il batterista Mike Fleetwood). Peter suonava la chitarra elettrica come pochi a quel tempo, e se si pensa che sostituì nei Bluesbreakers nientepopodimeno che il mitico “slowhand” Clapton- senza peraltro farlo rimpiangere- si può ben capire quanto fosse il suo talento e la sua bravura nel riproporre i vecchi standard del blues, e non solo quelli..I primialbum del gruppo erano veramente entusiasmanti e pieni di energia: “Fleetwwod Mac” e “Mr Wonderful” sono entrati prepotentemente nella storia del blues bianco, perché riproponevano il sound , l’atmosfera autentica, quella giusta, e le buone vibrazioni dei vinili degli anni quaranta/cinquanta di musicisti “leggende” come Elmore James.

Ma il loro capolavoro, il loro quarto album, che dovrebbe comparire sempre nelle migliori compilation e nelle discografie ufficiali del blues, rimane “Blues Jam at the Chess”, che li vede nella “windy city” patria del buon Blues elettrico, suonare a fianco di veri e propri mostri sacri come il bassista Willy Dixon, il pianista Otis Spann, il sassofonista JT Brown, il chitarrista Honeyboy Edwards, il batterista S.P.Leary ed l’armonicista Walter Shakey Horton.

Questo doppio fu anche un omaggio della band inglese ai loro maestri indiscussi, fu un’operazione dovuta per chi come loro aveva avuto i primi successi , alla fine degli anni sessanta, suonando quella musica, così lontana, ma nello stesso tempo così tremendamente vicina, la musica che aveva generato a sua volta altri stili ed altri generi come il jazz, il beat, il rock o il pop(come si chiamava allora..). Peter & soci non hanno mai scimmiottato i maestri, anzi hanno fatto di tutto per risultare i più rigorosi e fedeli possibili al blues originale proposto dalle leggende di Chicago.

Gli studi di registrazione della Chess erano una vera e propria istituzione in quegli anni, lì avevano registrato tutti i grandi nomi del blues americano, da Muddy Waters a Chuck Berry, da Little Walter a Bo Diddley, e lì arrivarono nel freddissimo gennaio del 1969 i Fleetwood Mac per dare alla luce il loro capolavoro di sempre!
Peter Green fu il grande artefice di questa operazione discografica che portò i Fleetwood Mac in una posizione di riguardo nel panorama blues internazionale, ma proprio quando stavano realizzando il loro sogno di sempre, cioè suonare il Blues, la loro musica preferita, in giro per il mondo con successo ed anche con soddisfazioni ”economiche”, ecco che la csa discografica fece sì che la band prendesse una strada completamente diversa, quella dell’abbandono del Blues. .Il risultato fu una band che conquistò le vette delle classifiche di vendita con un album del 1978 “Rumours”, che rimane a tutt’oggi uno dei 10 vinili più venduti di sempre- con quasi 25 milioni di copie all’attivo-ma che perse i pezzi pregiati per strada Nella band scoppiarono liti furiose, i manager truffaldini intascarono parecchi miliardi, alcool e droga, sgretolarono quello che rimaneva dei musicisti favolosi che avevano animato con la loro musica ed energia il panorama inglese 10 anni prima. Peter Green abbandonò il gruppo che aveva fondato, e cominciò il suo lento e progressivo declino artistico ed umano. Per tanti anni nessuno seppe niente di lui e questo alimentò le solite leggende metropolitane. Si disse che era morto in circostanze tragiche, qualcuno scrisse che un’overdose se l’era portato via, ci fù qualcuno che giurò di averlo visto lavorare come becchino a Londra e qualcun altro come infermiere, ma la verità è che Peter ebbe un esaurimento nervoso che lo portò ad un passo dalla morte, è anche vero che fu schiavo di alcool ed eroina per tanti anni, ma la cosa più importante, fu scoprire che non solo non era morto, ma che anzi il BLUES, la sua passione lo avevano aiutato nel suo lento, ma graduale ritorno alla VITA.
Negli anni si è ripreso, certo la sua tecnica non è quella di una volta, certo non è più il musicista che eravamo abituati ad ascoltare tanti anni fa, ma la sua passione per il Blues non è stata intaccata, e questo, per noi bluesmen, è ciò che conta, perché se è vero che la salute può tornare con l’aiuto di terapie adeguate, la strada del blues non la si perde quasi mai…..
Peter comunque da una decina d’anni ha ripreso ad incidere album di buona qualità con i suoi soci musicisti dello Splinter Group, la voce è ancora un po’ poco graffiante, ma all’armonica è sempre bravo, e a me sembra anche migliorato..Stiamogli vicino con il calore che contraddistingue la grande famiglia del Blues. .Scrivetegli al suo sito, guardate che sentire l’affetto della gente è tremendamente corroborante e fa bene a tutti, non solo ai musicisti di Blues…Ciao carissimi amici di ZENONE!

Keep on Bluesin’…FABIO TREVES