La Dama con l’ermellino: Leonardo da Vinci e l’invisibile agli occhi.

La Dama con l’ermellino: Leonardo da Vinci e l’invisibile agli occhi.
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di Santa Spanò

«Come si guarda un quadro: Lo si guarda a lungo»

Sono parole di Philippe Daverio, detta così la cosa sembra semplice, ma anche guardare è un arte. Lo capisco sempre di più dopo ogni visita al blog “senza dedica” (puoi trovarlo qui) di Grazia Agostini.

Guardare un quadro è come leggere un testo, possiamo fermarci all’apparenza, guardare la “crosta” o spingerci a “vedere” oltre, inserirlo in uno spazio-tempo in continuo mutamento, ricercare un frammento di realtà o una verità liberandoci dal pregiudizio. È una scoperta.

Il pittore Carlo Carrà diceva:

«Tutto è reale e tutto è vero ciò che veramente vive nello spirito dell’artista».

Il messaggio di Carrà è chiaro, il quadro vive in un libero rapporto tra il “modello” e l’artista.

Dal dipinto, come surrogato della realtà, si è giunti ad una visione intima, personale di ciò che si dipinge. Lo storico dell’arte Roberto Salvini ricorda «che ciascuno di noi vede diversamente dagli altri». Questo superamento della “verosimiglianza” vale anche a proposito del ritratto. «Il ritratto», dice sempre Salvini, «si può paragonare ad una biografia», e mette in guardia: «decidete se volete una fotografia pittorica delle vostre sembianze fisiche o se volete invece un’opera d’arte… cioè di esprimere, astraendo da ogni preoccupazione di altra natura, in un linguaggio coerente, il sentimento dell’artista». (Se poi il ritratto, ossia la somiglianza, e l’interpretazione dell’artista s’incontrano abbiamo la perfezione. Non trovate?).

Questa necessità di andare oltre la rassomiglianza, fermandosi alla sola ritrattistica fisionomica, indipendente dal mondo circostante e dallo “spirito dell’artista”, la sentì fortemente anche Leonardo da Vinci. La volontà cioè di Leonardo a scavare nei “segni del volto”, idealizzare o trasfigurare e al contempo di tracciare anche un contenuto narrativo, quella “biografia” del ritratto di cui Salvini parla.

Nelle sale del Castello del Wawel a Cracovia (qui il link), è esposto dal maggio del 2012 il dipinto la “Dama con l’ermellino”, opera straordinaria di Leonardo da Vinci, realizzata tra il 1488 e il 1490, durante il soggiorno milanese di Leonardo. La Dama dovrebbe ritrarre la giovane amante di Ludovico Maria Sforza detto il Moro, Cecilia Gallerani.

Questo simbolo della grandezza artistica di Leonardo lo abbiamo sempre ammirato nella sua compiuta perfezione. La luce che illumina la dama, lo sguardo come di attesa, le perle nere, ogni cosa qui è degna d’interpretazione, può essere un rimando, una storia a sé, lo stesso ermellino potrebbe alludere al titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino di Ludovico il Moro o al mito greco della Nascita di Ercole, come si legge ad esempio nella rivista InStoria, dove Elisabetta Gnignera dedica alla “nostra” Dama e al suo ritratto una serie di articolati brani (qui il link).

Ma se la pittura di Leonardo si fosse fermata al ritratto tout court, la Dama con l’ermellino non avrebbe oggi altri contenuti narrativi, non sarebbe evocativa di altre immagini.

Il  Layer Amplification Method (LAM) e l’invisibile agli occhi.

Aiuta in questo ragionamento il Layer Amplification Method (LAM), una tecnica messa a punto dall’ingegnere francese Pascale Cotte, del Lumière Technology Multispectrale Institute di Parigi.

Cotte e il suo team hanno mostrato com’era inizialmente il ritratto della giovane Cecilia Gallerani, proiettando sul dipinto una luce intensa e misurando poi i suoi riflessi con un sensore multispettrale.

Un ritratto di corte, notevole sicuramente, ma privo di quell’interpretazione a cui la critica e il nostro occhio si è abituato. Il LAM di Cotte ci continua a mostrare il lavoro o meglio la ricerca di Leonardo che in una fase successiva aggiunge un furetto tra le braccia della Dama.  A guardarlo troviamo due soggetti slegati, sacrificati, senza carattere, né storia.

E solo nel dipinto “finale” che Leonardo da Vinci supera la dimensione del ritratto “sembiante”, facendone un’opera d’arte. Leonardo  adesso, giocando con alcune sue parole, avrebbe potuto esclamare: Ecco, sono riuscito a «esprimere il concetto della mente mia».

In questo ritratto si è realizzato un microcosmo, Cecilia Gallerani è divenuta un pretesto o meglio una possibilità nelle mente di ser Piero da Vinci, per costruire altre verità in una continua scoperta.

Anche questo ritratto ci ricorda che l’arte non è un surrogato della realtà, «l’uomo vuole essere più che se stesso», scrive lo scrittore e filosofo Ernst Fischer, «brama di accogliere in sé  il mondo circostante… a unificare nell’arte il suo io limitato con un’esistenza collettiva». Continua Fischer, «L’uomo sarà sempre un essere finito, e quindi mai perfetto, in una realtà infinita, della quale sarà parte e antagonista… con in più la segreta soddisfazione di sapere che il mondo con cui s’identifica è… superato dalla magia dell’arte… condizione di “pienezza”, che muove dal finito in tutte le direzioni per dominare l’infinito, (l’arte) può perire soltanto se perisce l’umanità.»

 

(*) ripreso da http://lasantafuriosa.blogspot.it/